
Bomar Universe
Per tutto il 2012 sono stata giornalmente accompagnata da 12 immagini di volti femminili, volti adornati da delicati abbellimenti di carta o catene, dipinti con colori intensi e trucco scenografico.
Incuriosita, ho cominciato ad esplorare il web in cerca di altre opere di Marco Bolognesi… e scopro un altro mondo, un altro universo!
Marco Bolognesi, nato a Bologna nel 1974, da famiglia di artisti, è un artista che lavora con una varietà di media che spaziano dalla pittura, cinema, fotografia e video.

Fin dalla sua prima infanzia l’arte era parte integrante della sua vita.
Per vocazione creava già all’età di 6 anni.
Laureatosi all’Università di Bologna dove ha frequentato il corso di Arte, Teatro e Musica, ha iniziato la sua carriera artistica illustrando alcuni poemi di Roberto Roversi e collaborando con Guido Crepax.

Nel 1994 e 1996 gira i suoi primi due video: Giustizia e Verità (1994) e Il partito del Silenzio (1996) in entrambi musica e video si intrecciano mettendo in risalto tematiche sociali e politiche. I video vengono presentati fuori concorso prima al Giffoni Film Festival e poi alla sezione ‘Una finestra sul cortile’ del Festival di Venezia.
Nel 2003 vince il premio Artist in Residence all’Istituto Italiano di Cultura a Londra e realizza il progetto – con libro fotografico del 2005 – Woodland, in collaborazione con designer di fama internazionale come Vivienne Westwood, Alexandre McQueen, Kei Kagami e Dolce e Gabbana.

Nel 2006, con Woodland, realizza la sua prima personale alla Cyntia Corbett Gallery, Londra e, nel 2007, la prestigiosa rivista olandese Eyemagazine presenta il suo lavoro, precisando che “Bolognesi is able to fix his fantastic vision before his plans and schedules is shooting sessions”.
Nel 2008 Bolognesi gira il cortometraggio Black Hole, che vince il premio come miglior film fantascientifico all’Indie Short Film Competition in Florida.
Nello stesso anno la sua fotografia Redandwhiteeyes entra a far parte di Experimenta, la mostra itinerante organizzata dal Ministero degli Affari Esteri e poi della Collezione Farnesina, la collezione permanente del Ministero.
È del 2008 anche Dark Star, il secondo libro fotografico dell’artista, ampiamente recensito fra gli altri dalla rivista francese Clam.
Nel 2009 Einaudi pubblica Protocollo, la graphic novel che segna il primo passo della collaborazione con Carlo Lucarelli. Nello stesso anno alla Fondazione delle Arti Solares di Parma Marco Bolognesi presenta l’installazione Genesis, che si concentra sul tema della creazione e della mutazione delle identità.

Sempre nel 2009 presenta la sua personale Z Generation alla Olyvia Oriental Gallery di Londra e, il portale Americano ArtSlant di New York pubblica una sua ricca intervista.
Nel 2011 l’artista espone a Difforme, la mostra presso l’Archivio delle arti elettroniche dell’Università degli Studi del Molise, che raccoglie opere di alcuni dei principali artisti contemporanei.
Nello stesso anno l’installazione Mock-Up viene presentata all’interno dell’Istituto Europeo di Design di Milano in occasione di Invideo, e partecipa alla colettiva ‘What made us famous’ a Londra con gli artisti contemporanei più importanti sullo scenario internazinale come Damien Hirst, Helmut Newton e Sarah Lucas, presso la Olyvia Fine Art Gallery.
Le opere più recenti di Marco Bolognesi appartengono al progetto di collage fotografico Humanescape – presentato nel circuito ufficiale del Festival della Fotografia Europea di Reggio Emilia nel 2012 e ospitato al Festival fotografico Eyes On di Vienna – , e al progetto di lungometraggio di mix animation Messaggio alla terra, arrendetevi!, presentato in anteprima al Future Film Festival 2013 di Bologna.

Vive e lavora fra Londra, Roma e Reggio Emilia – dove risiede attualmente – e collabora con l’Accademia di Belle Arti di Bologna e con la scuola d’arte Viktor Rydberg di Stoccolma.
FP:
Ciao Marco, grazie per la tua disponibilità e benvenuto su FotografiaProfessionale.
Vorrei concentrarmi sul tuo lavoro fotografico nel corso dell’ intervista, cominciando col domandarti come scaturiscono le idee creative per i tuoi scatti e come questi entrano a far parte nel progetto universale del tuo “Mondo”. Con quale metodologia e tempistica segui la crescita di un progetto?
MB:
I miei progetti artistici hanno tempi molto lenti, lunghi periodi di incubazione che inevitabilmente si mescolano ai tempi della vita e quindi sono molto autobiografici.
Spesso e volentieri partano da una visione a cui seguono scritti e schizzi.
I testi e i bozzetti servono a comprendere i confini dell’idea originaria, il suo evolversi per avvicinarsi sempre più a quello che sarà.
Dopo questa fase, segue l’incontro e il confronto con tecnici su quello che vorrei fare, affiancando questo scambio con ricerche su quello che è stato realizzato di simile.
Si passa poi alla fase organizzativa e produttiva: si scelgono i collaboratori, si trova il budget e si realizza il progetto a cui segue la fase di promozione e veicolazione.
FP:
Come nasce Bomar Universe e come vive e si sviluppa?
MB:
Il Bomar Universe nasce come necessità, quella di creare un mondo – sempre in espansione – che rappresenta l’unica grande opera che comprende tutte le altre.
L’ambito culturale a cui il mio universo fa riferimento è quello del cyberpunk e della fantascienza sociale. Fumetti, cinema e letteratura sono le fonti di ispirazione a cui si affiancano i temi sociali e politici della quotidianità – su cui focalizzo di fatto i miei progetti – e una parte autobiografica, come dicevamo.

FP:
Studi universitari a parte, il grosso della tua formazione è avvenuta in Inghilterra. Quali differenze riscontri nel mondo della fotografia artistica tra Italia e Inghilterra?
MB:
In Inghilterra essere artisti è un lavoro riconosciuto, questa è la più grande differenza.
Esistono università che si occupano specificatamente di fotografia, che ti spingono a conoscere sia il funzionamento dell’oggetto macchina fotografica sia la parte teorica; università che permettono a docenti e studenti di lavorare a contatto con i critici e i collezionisti, attenti alla scena internazionale e al mercato di settore.
In Italia la situazione è un po’ più caotica.
FP:
Tutti i tuoi progetti fotografici hanno come soggetto la figura femminile.
Perché questa scelta?
MB:
Per me le donne rappresentano lo sguardo al futuro. Il corpo delle donne viene usato e manipolato dalla nostra società non solo per mercificarlo, ma anche come emblema e simbolo della contemporaneità.
Ovviamente per me il soggetto “donna” è un paradigma dell’oggi, perché l’immagine femminile nella cultura occidentale si riempie di significati molto diversi – pensiamo ad esempio all’immagine religiosa della Madonna e all’immagine indipendente e fiera della donna moderna -. Parlando della donna si può, e si deve, parlare dei soprusi che subisce, nel lavoro come nella società che ci ricorda.
Il grande impegno che bisognerebbe portare avanti come civiltà è di denuncia, perché tutto questo non è solo un problema del mondo femminile, ma di tutti noi.
Quindi, ripeto, la donna nel mio universo rappresenta uno sguardo alla contemporaneità e, insieme, uno sguardo al futuro.

FP:
Dei tuoi ultimi 3 progetti – Humanescape, Mutantia e Pinned face – Valerio Dehò parla come del tuo “momento bianco”. A cosa fa riferimento?
MB:
Valerio Dehò scrive sapendo che questi miei ultimi tre anni sono stati e sono tuttora anni di cambiamento: il ritorno forzato in Italia, le vicissitudini personali, la necessità profonda di rivedere i confini del mio universo.
La mia ricerca quindi non prende più tanto in esame la parte sensuale-erotica delle donne, presente in maniera predominante nei lavori precedenti, ma è come se tali soggetti venissero ‘decontestualizzati’ per diventare forme di una visione.
La mia necessità ora è di rappresentare un momento di rinascita legato e generato da un momento di dolore.

FP:
Dei tuoi progetti, personalmente sono affascinata dai volti in Synteborg e dalle figure delle Geiko. Vorresti raccontarci qualcosa sulla genesi e sul messaggio che vuoi trasmettere con questi scatti?
MB:
Ogni progetto vuole trasmettere tematiche diverse quindi non esistono messaggi univoci, se non per il filo rosso che esiste in tutto il mio lavoro, di cui abbiamo parlato prima.
Credo che si debba precisare che spesso il pubblico trascura, nel guardare il mio lavoro, che il mio sguardo non è da fotografo ma da artista, un artista che usa la macchina fotografica per realizzare il suo universo.
Il mio background tecnico è quello della pittura, che coincide con i miei esordi, e sopratutto con il collage prima pittorico e poi, in un secondo momento, fotografico.
Sottolineo questo punto perché l’intento di un pittore è di ri-creare una realtà.
Io sono arrivato a creare con il collage un nuovo linguaggio, decontestualizzando il soggetto iniziale per dargli un altro significato .
Soggetti dei lavori degli ultimi dieci anni non sono solo le protagoniste delle fotografie, fondamentale è anche il supporto, in cui intervengo con il collage e dove gli oggetti, accessori, ricami, sono fisicamente incollati sul corpo delle “modelle” con colle o resi con effetti di prospetix.
Un lavoro in cui sono state sviluppate tecniche di collage digitale è stato Synteborg, dove la parte concettuale del lavoro prevede la creazione di cyborg sintetici, una serie di volti di esseri inesistenti nella realtà comune.
Questo progetto è nato sviluppando i volti realizzati per Woodland di cui è una naturale conseguenza.
Il collage digitale l’ho utilizzato anche per il progetto Humanescape e lo sto riutilizzando ora per il suo secondo capitolo, che sto completando per Forma di Milano.

FP:
Attualmente stai appunto lavorando al seguito di Humanescape, per la fondazione Forma di Milano. L’esposizione, curata da Denis Curti ed arricchita da un libro edito da Contrasto, verrà realizzata per il 2014 e sarà composta da 14 opere fotografiche e di lightbox. Come si arricchirà questo progetto, nato nel 2012 con il capitolo Humanescape – il nostro presente, nel 2013?
MB
La genesi di questo lavoro parte nel 2008 e si dipana fra momenti di studio e di realizzazioni fino ad arrivare al 2012 con la mostra a Fotografia Europea e con la pubblicazione del book project Humanaescape.
Il progetto si compone di altri capitoli che mettono al centro l’individuo e la società contemporanea, simbolicamente rapresentati da queste figure gulliveriane all’inteno di “false realta”.
Nel secondo capitolo sviluppo i temi della modificazione della natura, dell’impedimento all’integrazione culturale, dell’uso della forza per controllare i popoli.

FP:
Altri progetti su cui stai lavorando attualmente?
MB:
In questo momento sto lavorando alla conclusione dei tre progetti bianchi, perchè credo di essere vicino alla conclusione di questo periodo della mia vita.
Parallelamente sto lavorando a un grosso progetto museale, per il quale svilupperò altri capitoli del mio Bomar Universe ispirandomi direttamente ai B-movie italiani degli anni ’60 e ’70.

FP:
Veniamo alle domande tecniche.
Come scatti abitualmente? Digitale o pellicola? Come si compone la tua attrezzatura fotografica?
MC:
Realizzo progetti fotografici una volta all’anno quindi non uso mie attrezzature fotografiche ma affitto ogni cosa in base al progetto.
Solitamente lavoro con una Phase One P45
FP:
Prima delle vacanze estive, doverosa è una delle nostre immancabili domande: devi partire per un viaggio e puoi portare con te, insieme alla tua macchina fotografica, solo un’ottica: quale sceglieresti e perché?
MB:
Mi dispiace deludere le aspettative ma per le vacanze uso macchine compatte o addirittura il cellulare. Visto che la mia necessita è solo di documentare e di ricordarmi ciò che vedo.
Il mio universo viene generato dalla creazione di un’altra realtà, di conseguenza non ho bisogno di fotografare ciò che vedo, ma ciò che sento o penso.
FP:
Marco, grazie mille per la tua disponibilità. So che hai un’agenda fitta di impegni, quindi a maggior ragione, grazie per la tua disponibilità.
MC:
Grazie a voi. Spero che le mie risposte siano state chiare ed esaustive.
FP:
Per approfondire la conoscenza del lavoro di Marco, ecco qui il suo sito:
http://www.marcobolognesi.co.uk/