
Cattedrali Rurali
Qualche tempo fa, su suggerimento di un amico, ho conosciuto Marco Maria Zanin… era l’inizio dell’estate, con le sue prime giornate afose… ho cominciato a sfogliare il portfolio di Marco Maria e sono stata immediatamente catapultata nella stagione invernale, le nebbie, le gelate mattutine, la neve… tutto in un’atmosfera sognante, sospesa nel tempo, quasi da favola.
Così mi sono preposta di chiedere a Marco Maria da dove nasce il suo amore per la fotografia, e perché ha scelto queste Cattedrali, da lui stesso così nominate, per questa serie di scatti.
Ciao Marco, benvenuto su FotografiaProfessionale.
Vorrei, prima di entrare nel merito del tuo operato fotografico, farti qualche domanda di routine un po’ noiosa, ma sono curiosa e vorrei conoscerti meglio!
😉
FP:
Quando e come inizia la tua passione per la fotografia come strumento di espressione della tua arte? Hai seguito studi inerenti alla fotografia? Perché la fotografia come linguaggio di espressione?
MMZ:
Da piccolo giocavo con i dinosauri, e volevo fare l’archeologo. Poi, crescendo, volevo fare lo scrittore. Il musicista. Il professore. Il politico. Lo psicologo. In questa corsa per capire quale sarebbe stato il mio posto nel mondo, avevo preso la macchina fotografica in mano. Un giorno mi sono fermato, l’ho guardata, e ho capito che dentro quello strumento avrei potuto mettere tutto ciò che mi si muoveva dentro, e che essa mi avrebbe aiutato a dargli un ordine, un senso. Attraverso la fotografia vivo la ricerca, la poesia, l’educazione, l’autoconoscenza, il desiderio di dare il mio contributo per trasformare il mondo.
Sono sempre stato un autodidatta, quasi su tutto. In molte cose è stato un limite, perché mi è mancato il ritmo e la disciplina, come ad esempio nella musica, ma nella fotografia è stato diverso. Sono uno sperimentatore, mi piace trafficare con gli strumenti, capire come funzionano; non mi stanco mai di domandare, di leggere, di osservare, e tornare a sperimentare. Mi diverte e mi appassiona.
Ho preso in mano da poco il banco ottico, il rapporto è ancora un po’ conflittuale, ma stiamo imparando a conoscerci 😉
Sul perché della fotografia, è un domandone. Potrei tirarti su una solfa – è un’altra cosa che mi viene molto bene – ma ti rispondo con la prima cosa che mi viene in mente. Anzi, due cose. La prima è forse il fil rouge del mio percorso artistico, sulla quale poi è nato anche il titolo della mia prima mostra personale, “Corrispondenze”. La fotografia è uno strumento potentissimo per entrare in empatia con il mondo e con se stessi. Una bacchetta magica per rompere la barriera tra l’universo interiore e quello esteriore, per fondersi in un unico respiro con ciò che ci circonda. Quindi conoscerlo, e raccontarlo. La seconda è che puoi dire un sacco di cose senza usare la parola. Il che è una benedizione per la nostra epoca.

FP:
Torniamo alla domanda iniziale: perché hai scelto le “Cattedrali Rurali” e quella precisa atmosfera invernale per immortalarle?
Il nome del progetto?
MMZ:
Ti confesso che molte cose devo ancora capirle anch’io fino infondo…
Comunque, mi sono trovato una mattina all’inizio del dicembre 2012 in mezzo a un campo, circondato dalla nebbia e con la macchina fotografica in mano. Sentivo che era un giorno speciale, qualcosa dentro di me aveva deciso che era finito il tempo di spaziare in lungo e in largo, e che era il momento di concentrare le energie e le esperienze maturate in un punto, in qualcosa di mio. Quella mattina ho scattato, in meno di due ore, le prime quattro fotografie di quella che sarebbe diventata la serie delle “Cattedrali rurali”.
Nelle Cattedrali c’è il mio profondo amore per la terra. Ci sono le mie radici, le origini contadine di entrambi i miei nonni. C’è il mio bisogno di realtà quando rischio di volare troppo vicino al sole, e che mi si sciolgano le ali. Ci sono i frutti della mia ricerca filosofica e psicologica.
“Cattedrali rurali” è il nome che mi è venuto quando ho visto nella nebbia, da lontano, l’edificio che fa da copertina alla serie. Mi è emerso un moto di riverenza nei confronti di quella struttura, avrei voluto chinarmi di fronte ad essa. Sembravano le rovine di una cattedrale gotica. Ma più che altro le ho chiamate Cattedrali, perché quei luoghi sono il simbolo della sacralità di quel rapporto tra l’uomo e la natura che la civiltà rurale ha testimoniato e incarnato fino ad un passato recente. Un rapporto di sangue, di fratellanza, che ci richiama all’essenza della vita, al ritmo naturale delle cose, all’armonia e alla semplicità. Una dimensione umana che la nostra epoca ha escluso dalle sue categorie e abitudini, e che lascia crollare, proprio come quegli edifici.
L’intento che regge il mio lavoro è anche questo: riportare nello scenario contemporaneo questo orizzonte vivente di valori e di possibilità, affinché possano essere integrati nelle nostre vite quotidiane.

FP:
Quando e dove potremo avere modo di vedere dal vivo questo scatti?
MMZ:
Per quest’anno le Cattedrali rurali rimangono a riposo. Sono in partenza per una residenza artistica a San Paolo del Brasile dove rimarrò fino a metà novembre, mentre da li in poi sarò impegnato nella realizzazione del nuovo progetto sulle Ville Venete. Nel 2014 invece ho un fitto calendario di mostre di cui le Cattedrali rurali saranno protagoniste: a gennaio saranno esposte allo Spazio Tadini di Milano, a febbraio alla Fondazione Benetton di Treviso, a marzo alla mia galleria di Roma, mentre ad aprile o a maggio farò una bella mostra per la mia città, Padova. Per il resto, tenete d’occhio il sito.
FP:
Sempre curiosando sul tuo sito, sono stata attirata dai ritratti e dalla tua personale re-interpretazione. Vorresti dirci qualcosa di più su questo progetto?
Come hai scelto i volti ritratti, tra cui oltre al tuo c’è anche quello di Paolo Fresu. ☺
Perché quella modalità di rappresentazione del ritratto?
MMZ:
Il progetto sui ritratti è ancora sperimentale, ma sono molto entusiasta perché sono sicuro che potrò spaziare molto e intersecarvi diverse discipline.
Tutto è nato una mattina in cui mi sono svegliato di botto, con l’idea in testa. La sera prima probabilmente avrò mangiato pesante. Ho preso macchina fotografica e cavalletto, luci, e ancora tutto spettinato mi sono fatto un autoritratto. Mi è piaciuto da morire, allora ho deciso di farci un progetto.

Oltre agli spazi che percorriamo, anche le persone sono universi da esplorare. Siamo davvero uno e centomila, e il corpo non solo traduce ed esprime le correnti interiori, ma possiede un’intelligenza che può fornirci preziose chiavi di lettura per conoscere noi stessi e il mondo. Volevo soffiare sull’anima delle persone di modo che si aprisse come le pagine di un libro. Qui c’è l’influenza di una disciplina che sto approfondendo ultimamente: la psicosintesi. Essa dice che l’essere umano è costituito da varie parti, che hanno origini e “consistenze” diverse. Ecco, questo tipo di ritratto vuole essere un’indagine e un racconto di queste parti che ci compongono, e che si rivelano attraverso le espressioni del nostro corpo. Ma dev’essere, ancora, una ricerca della verità, dell’essenziale. Non mi interessano i trucchi, le pose. Mi interessa l’umanità.

Rispetto il come scelgo i soggetti, devo ancora mettere dei confini precisi. L’intenzione però è quella di ritrarre persone con grande talento e grande cuore, creativi che abbiano scelto di spendere il loro dono per contribuire ad illuminare una fetta di mondo. Non posso chiamarli solo “artisti”, perché vi sono anche altre categorie e professioni che condividono la forza e la responsabilità dell’arte, comunque, si tratta di persone che collegano due mondi, il nostro, e quello “delle idee”, come direbbe Platone. O quello divino, direbbero altri.

Ho la grande fortuna di conoscerne alcuni, che sono gli amici che si sono prestati per i primi esperimenti: Elvis è un pittore geniale e potente, Martin un angelo caduto in terra, un artista poliedrico, Marco un brillante architetto.
Paolo Fresu perché, ora che sono sicuro del progetto e della tecnica, vorrei cominciare a fotografare persone che sono riuscite a far riconoscere il loro dono dal grande pubblico, e che lo stanno già mettendo in gioco contribuendo a costruire nuove realtà. Lui, poi, per me è una luce, un faro. Quando ascolto la sua musica volo in alto, e le cose si sistemano. E’ un grande artista.
FP:
Tra gli altri progetti, sono stata “rapita” dalle atmosfere eteree dei Giardini di Valsanzibio… La scelta di rappresentare nelle tue opere queste ville, in un mood così etero e quasi sospeso nel tempo, da dove deriva?
MMZ:
Non so se riesco, o se voglio 😉 dirti da dove deriva. E’ semplicemente il mio modo di sentire il mondo.
Credo che la fotografia, come l’arte in generale, abbia il potere di decontestualizzare la realtà, di romperne la logica, e di aprire nuovi spazi, nuovi modi di percepirla. Questo è un tema molto importante per me, che ora sto cercando di sgrezzare dalla “romantica visione dello sguardo dell’artista”, e cercando di fondare su presupposti filosofici, per entrarne bene in possesso e poterlo applicare con scopi definiti. Sto studiando, ad esempio, la filosofia di Walter Benjamin, e in particolare il suo “metodo del montaggio” sul quale ho fondato il progetto “Mutantes – la metropoli come opportunità di crescita e trasformazione” che andrò a realizzare tra pochi giorni a San Paolo del Brasile. Chi volesse saperne di più può leggere nel mio sito.
Quelle che hai descritto come “atmosfere eteree”, comunque, che sono quelle che ricerco nella nebbia, mi aiutano a comunicare un messaggio forte senza parlare a voce alta. Credo che per generare una trasformazione in chi ci ascolta o ci osserva – soprattutto oggi, che siamo costantemente bombardati di stimoli e di slogan – piuttosto che spiattellare in faccia una presunta verità, occorra sussurrare, suggerire, magari accompagnando il nostro messaggio con una carezza sincera.
FP:
Leggo sul tuo sito, entro la sezione del progetto su Le Ville Venete nel contemporaneo: “Le fotografie di Marco Maria Zanin si prestano molto bene per essere utilizzate in operazioni di valorizzazione del patrimonio storico e culturale del nostro Paese, in specifico della Regione Veneto attraverso le sue Ville storiche.”
(cit. Fortunato d’Amico)
Complimenti, in anzi tutto!
L’intento del progetto è molto nobile.
Vorresti parlarcene?
MMZ:
Certamente. Le Ville Venete sono lo “step two” dopo le Cattedrali Rurali. Un’altra delle ricchezze di questa regione in cui sono nato e cresciuto; un fenomeno culturale in cui arte, economia, politica e filosofia vivevano assieme e si nutrivano l’una dell’altra. La testimonianza vivente di un prezioso universo di valori, da cui attingere a piene mani per nutrire le nostre vite. Mi riferisco all’esigenza della bellezza, alla ricerca dell’equilibrio e dell’armonia, all’apertura verso la trascendenza.
Qui l’operazione artistica è piuttosto ambiziosa: voglio riuscire, con la fotografia, a rompere quella “teca di vetro” all’interno della quale la modernità rinchiude tutto ciò che è lontano da essa. Vorrei comunicare non solo e non tanto le Ville stesse, ma i valori, le forze, gli intenti che hanno generato tale fenomeno culturale. Tracciare dei ponti per avvicinare quella sensibilità ai nostri cuori, in modo da potercene appropriare; trovare, sempre raggiungendo l’essenza delle cose, dei punti in comune che accorcino la distanza tra la “meraviglia” di quella civiltà e la “normalità” della nostra. Anche guardando solo all’architettura, che è poi uno degli specchi più fedeli di una civiltà, non riesco proprio a rassegnarmi al fatto che esseri umani esattamente come noi abbiano potuto costruire opere di tale bellezza, e che noi invece si continui a costruire e a vivere all’interno di parallelepipedi di cemento, del tutto sconnessi sia dal contesto naturale sia dai riferimenti più “alti” del vivere. Un contrasto che poi, nel Veneto, è insopportabile.
Per finanziare questo progetto utilizzerò una risorsa innovativa e molto interessante: il crowd funding. Tra pochi giorni lancerò una campagna sul web in cui presenterò il lavoro, e le persone interessate potranno contribuire al suo finanziamento con la cifra che vorranno dedicarci, che potrà andare dai 5 ai 1000 euro. Naturalmente sono previste tutta una serie di “ricompense” che metterò a disposizione a seconda dell’importo versato: si va dal ringraziamento personale sul mio sito, alla “prova d’autore” stampata fine art e firmata, alla copia firmata del libro, alla polaroid (quindi un pezzo unico), al workshop di fotografia, fino al ritratto d’autore! E’ un bel modo di condividere il progetto con chi apprezza il mio lavoro, e di instaurare relazioni umane.
Anche per questo, tenete d’occhio il sito e i social network!

FP:
Beh, personalmente credo opterò per un ritratto d’autore!
Credo il progetto meriti tutto il supporto possibile. Quindi se anche voi amici di FotografiaProfessionale vorrete contribuire, credo ne varrà davvero la pena.
Torniamo a noi Marco: nuovi progetti in itere?
MMZ:
Oltre a “Mutantes” che realizzerò a San Paolo nei prossimi due mesi, no, per fortuna! C’è già troppa carne al fuoco…
FP:
Passiamo alla parte più tecnica del tuo lavoro.
Con che macchina fotografica scatti?
La tua lente preferita?
MMZ:
Dopo aver usato 3 anni la Nikon D700, e (nikonisti perdonatemi) averla lanciata fuori dalla finestra, ho trovato la mia dimensione con la Canon 5D mark II. Tutta la serie delle Cattedrali rurali l’ho realizzata con la Canon, e con un obbiettivo 24-70 della serie L.
Ora però le cose sono cambiate radicalmente: ho comprato il Banco Ottico, con il quale sento di aver raggiunto una sorta di Nirvana. Lui mi accompagnerà per tutto il progetto “Mutantes” e “Le Ville Venete nel contemporaneo”. Assieme al banco mi porterò dietro anche la Polaroid, e, ahimé, le pellicole Impossible, sulle quali avrei molte cose da dire… ma lascio perdere, se no poi mi arrabbio!
La mia lente preferita, senz’altro il caro, vecchio cinquantino. Canon 50 mm f/1.4

FP:
Il tuo rapporto con la post-produzione? Ti occupi tu stesso dell’editing delle tue immagini?
Il gusto della post-produzione delle tue immagini è identificativo del tuo stile, mi riferisco soprattutto alle Cattedrali Rurali. I colori tenui e le atmosfere ovattate… credo sia una post-produzione decisamente funzionale all’intento espressivo delle tue immagini.
Come ottieni questi risultati?
Hai seguito o segui corsi di post-produzione?
MMZ:
Rapporto con la post-produzione direi abbastanza distaccato, ma buono.
Autodidatta, anche perché quello che faccio non è nulla di complicato. Per le Cattedrali rurali, semplicemente, desaturo il colore. In realtà ciò che rende il mio stile è la scelta della luce, delle giornate giuste.
Nei ritratti ovviamente c’è molta più postproduzione, perché vanno scontornate le figure e poi sovrapposte.
FP:
So che di recente hai portato a termine Il Cammino di Santiago di Compostela… colgo l’occasione per farti la nostra domanda di rito: se dovessi partire per un lungo viaggio e il bagaglio limitato ti obbligasse a portare con te una sola lente, insieme alla macchina fotografica, quale sceglieresti?
MMZ:
Molto giusto il paragone con il Cammino di Santiago, perché li meno cose metti nello zaino, più vivi sereno. Infatti mi sono portato via la Canon con solo il 50 millimetri!
Poi però ho capito che, per certi viaggi, l’unica lente che vale la pena portarsi è quella del cuore. Allora, dopo una settimana di cammino ho spedito a casa macchina fotografica e obbiettivo e mi sono goduto il viaggio.
La mia dimensione di fotografia è senz’altro molto più legata al progetto artistico, che al collezionare ricordi, luoghi, o momenti.
FP:
Marco, grazie infinite per la tua disponibilità.
In bocca al lupo per i tuoi progetti futuri.
Per tutti gli amici di FotografiaProfessionale, ecco qui il link al sito di Marco ed alla sua Pagina Facebook:
www.facebook.com/marcomariazanin
dove potrete visionare altri suoi scatti e scoprire di più sui suoi progetti creativi.
Ciao e alla prossima intervista,
Ingrid