
Fotogiornalismo professionale VS Citizen Journalism: chi vincerà? (3/3)
Sono arrivata alla terza parte di questa serie di articoli sul fotogiornalismo professionale e sul punto interrogativo che pende sulla sua testa come una grande spada di Damocle.
Prima di proseguire, ti faccio una domanda anche io: come te la cavi a stare in equilibrio su un cavo sospeso?
Presto capirai cosa intendo…
Nel primo articolo ti ho un po’ provocato (ma a ragion veduta) dicendo che, ormai, il fotogiornalismo è morto; nel secondo, invece, ho riportato a galla questa professione, motivando il recupero con i risultati ottenuti dagli studi sull’Eye Tracking. Ricordi? 🙂
Beh, proprio i commenti che Mauro e Claudio hanno scritto per rispondere al secondo articolo hanno anticipato la chiusura, la sintesi delle posizioni che ho trattato. “In medio stat virtus“, diceva quello, e ha ancora parecchia ragione secondo me.
È un po’ come camminare in equilibrio su un cavo sospeso: da una parte ti attende una distesa di ortiche, dall’altra un bel prato con dell’erba soffice (e un materasso molto grande!)
Passami la metafora, insomma, voglio dire che non puoi negare che esistano le ortiche solo per rassicurarti.
Per essere ancora più chiara, per quanto nel secondo articolo abbia scritto che le persone sono ancora in grado di distinguere una foto di un reporter professionista da una scattata da un “testimone oculare”, diciamo, che si è trovato nel posto giusto al momento giusto e ha immortalato un evento, magari importante, non si può far finta che l’editoria sia in crisi e che sempre più spesso siano proprio le redazioni a preferire le immagini pescate sul web piuttosto che remunerare un professionista assunto appositamente.
Claudio ha scritto
Dico solo che i giornali cartacei si vendono ormai pochissimo, e di conseguenza i tagli al personale sono all’ordine del giorno. Ormai la maggior parte di foto e video le fanno gli stessi giornalisti, se gli va bene per pochi spiccioli in più. Ma anche per zero. Ricordo una notizia di una paio di anni fa riguardante i due quotidiani più importanti di Chicago, che licenziarono tutti i fotografi, sostituiti da freelance ed evidentemente dagli stessi giornalisti armati di Iphone. Ma, diciamo la verità, per documentare alcune cose l’Iphone basta e avanza, basta saperlo usare. Non lapidatemi…
Ma ha anche aggiunto
Rovescio della medaglia, grazie ai nuovi media, tecnologie ecc. c’è un sacco di lavoro da fare, più approfondito e di nicchia magari, ma credo che se uno ci crede e ha voglia di stare al passo con i tempi spazio per raccontare delle storie ci sia ancora.
Eccolo che cammina su quel cavo, in perfetto equilibrio…
Un altro equilibrista è Mauro:
Sta di fatto che la tendenza dei media a fagocitare contenuti di qualità più bassa in nome di velocità-costo-ricavo sia evidente, e non si arresterà. Coloro che sono “alla guida” sono sempre più “manager” e meno “direttore artistico”, e l’aspetto qualitativo ha assunto un peso diverso da quanto accadeva in passato. Ritengo non tanto perché abbia perso importanza di per se, bensì perché i fattori sono ora più numerosi e sopratutto hanno assunto una prospettiva diversa. La “qualità” tutto sommato (e la ricerca lo conferma) conta, ma “esserci” (nel posto giusto e al momento giusto) da sempre è fondamentale. Però è forse la “velocità” con cui una informazione è disponibile a fare la parte del leone. In fin dei conti una bella foto che nessuno vede è come non esistesse.
Bisogna, secondo me, rimanere sempre all’erta ed essere pronti al cambiamento, in modo da “evolvere” (“adattare” non mi piace, suona negativo) la nostra fotografia col mutare dei tempi, delle tendenze, dei mezzi tecnologici.
Non bisogna adagiarsi sulle proprie competenze acquisite, ma tenersi sempre all’erta, pronti al cambiamento, che non è necessariamente negativo, ma più spesso foriero di novità, di crescita, di nuovi stimoli; se riusciamo a vederla così allora l’unica conseguenza possibile sarà di essere fotografi migliori 🙂
Sarebbe bello, ma non sempre, che le cose fossero bianche O nere, perché avere davanti ai propri occhi una situazione ben definita ci fa sentire comodi. Le zone di comfort si costruiscono di solito sulle certezze e su equilibri certi, un po’ come camminare su un terreno piano; quando qualcosa funziona come dovrebbe (o come vogliamo) ti senti al sicuro e ti rilassi, vero? Mentre quando qualcosa scricchiola, senti che devi correre ai ripari 🙂
Ecco, penso che ormai sia tempo di imparare a camminare sui cavi sospesi senza temere le ortiche ma tenendo d’occhio il prato più soffice. Il mondo del fotogiornalismo, così come tantissimi altri ambiti fotografici (diciamolo, la fotografia stessa in generale), ha subìto dei mutamenti che stanno portando a decisioni anche drastiche, come quelle di licenziare il personale perché non si hanno fondi a sufficienza.
Ma non bisogna dimenticare che sono gli stessi cambiamenti ad aver portato delle novità positive: i reporter professionisti, proprio perché la concorrenza è aumentata, si impegnano quotidianamente a restituirci delle fotografie che non solo testimonino degli eventi, ma che siano anche significative, belle, magari più profonde; la fotografia di stampo reportagistico ha invaso, per esempio, anche il lavoro dei matrimonialisti, dando nuova vita a questo genere.
Pensa anche al WPP, il World Press Photo, che di anno in anno mostra un’evoluzione del reportage e porta alla luce dibattiti, anche molto accesi, volti a definire i confini del genere (vedi “WPP Gender Bender: una questione di genere).
Pensa al fascino che i fotografi della Magnum continuano ad esercitare a livello mondiale. Pensa a quando ti si stringe lo stomaco di fronte ad una foto di reportage che ti tocca il cuore, e concorderai con me se dico che sono i professionisti a saperlo fare meglio 🙂
Insomma, non puoi più pensare solo in bianco o in nero: DEVI STARE IN EQUILIBRIO!
Chi vincerà la sfida, secondo te?
Ti senti pronto a camminare in equilibrio su un cavo sospeso? 😉
C’è solo una regola: non puoi rimanere immobile, perché le cose attorno a te cambiano…
La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l’equilibrio devi muoverti.
Albert Einstein