
Il “capovolgimento della realtà”: la slow-photography di Moises Levy
Il mondo di oggi è veloce, velocissimo; anche nella fotografia si cercano prestazioni rapide con macchine fotografiche che scattino quasi simultaneamente al pensiero che guida la mano di chi le regge.
Moises Levy, invece, ferma il tempo nel tempo per mostrarci la realtà con occhi diversi… le sue immagini eleganti mi hanno incuriosita e affascinata, quindi ho voluto saperne di più, e leggendo le sue risposte ho spesso sorriso.
Sono curiosa di sapere se hai sorriso anche tu giungendo alla fine di questa intervista 🙂
FP: Ciao Moises e benvenuto su FotografiaProfessionale.it!
Da quanto tempo fotografi? Si tratta di una passione o ne hai fatto una professione? Hai mai seguito corsi o frequentato workshop?
ML: Il mio interesse per la fotografia è nato quando ho iniziato gli studi di architettura quasi 30 anni fa, all’inizio era solo una passione ma è diventata nel tempo parte integrante della mia vita.
La fotografia è ormai presente in quasi tutto quello che faccio; ho cominciato da autodidatta e successivamente il mio bisogno di imparare di più mi ha portato a frequentare diversi workshop di fotografia analogica e digitale, corsi sulla stampa al platino palladio e sulle tecniche di fotoincisione.
FP: Ti sei specializzato nella fotografia a lunga esposizione, quando è perché ne sei stato attratto?
ML: Mi piacciono le fotografie intriganti, quelle che rispecchiano qualcosa che non esiste effettivamente nel mondo reale; come sai le fotografie a lunga esposizione fanno proprio parte di questo immaginario, e praticamente si tratta delle mie prime sperimentazioni per rappresentare questo “mondo altro”.
FP: Come ti prepari agli scatti, ovvero, pensi in anticipo a come dovrebbe essere composta un’immagine e poi cerchi di ricrearla in fase di shooting?
Quanto tempo impieghi solitamente per portare a casa “lo scatto”?
ML: Pianifico tantissimo, faccio molte ricerche e fantastico parecchio sulle mie location future; mi piace anche vedere in anticipo che cosa altri fotografi hanno fotografato negli stessi luoghi.
Ci sono fotografi che non amano confrontarsi con il lavoro altrui, ma per me conoscere i punti di ripresa migliori o peggiori è un ottimo modo per aiutarmi a preparare e a pianificare in anticipo.
Di solito il mio scatto migliore è l’ultimo.
FP: Nella tua galleria di immagini è possibile vedere molti luoghi differenti, da New York a Venezia; viaggio per passione o lavoro? Che cosa ti fa decidere per una meta piuttosto che per un’altra?
ML: Viaggio per passione, e amo soprattutto il momento in cui raggiungo una destinazione, lo considero davvero speciale; entro in contatto e mi rapporto con l’ambiente che mi circonda… la mia macchina fotografica diventa a quel punto un’estensione della mia mente.
Di solito scelgo i luoghi da visitare in base ai miei interessi artistici del momento; a seconda che voglia che sia l’acqua il soggetto centrale, o le rocce oppure gli alberi, decido quale sarà la mia prossima meta.

FP: Soprattutto terra e acqua sono gli elementi sui quali si basa il tuo lavoro; l’acqua appare solida, immobile ed immutabile, mentre le rocce sono sinuose, morbide e mutevoli. Ricerchi consapevolmente questo “capovolgimento” per mostrarci le cose sotto una luce diversa, o è qualcosa che fai in modo spontaneo?
ML: Con le mie immagini cerco di mostrare come il tempo intervenga sul pianeta e ne modifichi le forme di vita e gli oggetti che vi coesistono; mi piace includere soggetti simbolici nelle mie fotografie come alberi, rocce particolari e barche (viste come “oggetti di fuga”); questi sono elementi che cambiano nel tempo, l’acqua no.
Ecco cosa voglio esprimere con le mie immagini.
FP: C’è più “simbolismo” o “estetica” nelle tue fotografie? Che cosa ricerchi soprattutto?
ML: Cerco sempre di trovare degli elementi che abbiano un significato particolare per me o per la memoria collettiva, rocce e alberi sono da sempre presenti nella mente dell’uomo.
Ciò che mi interessa sono i soggetti che possano comunicare un concetto, un senso, un messaggio, che siano anche dotati di bellezza.

FP: Veniamo al tuo equipaggiamento tecnico: che cosa tieni nella borsa della macchina fotografica?
ML: Come tutti i fotografi, non trovo mai pace con l’attrezzatura! Sono sempre in cerca di dotazioni migliori per ottenere fotografie di maggior livello.
Ho provato praticamente tutto quello che si trova sul mercato, dalle macchine fotografiche Rollei alle pinhole di legno passando per le DSLR; ora sto lavorando con una Hasselblad manuale (503 CW) con un dorso digitale Phase One IQ260.
È la macchina fotografica perfetta per il mio tipo di lavori!
FP: Qual è l’attrezzatura cui ti affidi per scattare su pellicola? Cosa preferisci usare e perché?
ML: Per la pellicola utilizzo soprattutto la mia Hasselblad perché posso passare dal digitale all’analogico senza cambiare macchina fotografica. Mi piace scattare su pellicola ma si tratta di un processo assai più lento che lavorare con un dorso digitale dal momento che devo sviluppare e scannerizzare le mie stampe.
FP: “Antelope Canyon” è una serie incantevole dai colori vivaci; nella tua gallery compaiono quasi principalmente immagini monocromatiche, che cosa ti fa decidere di volta in volta per il bianco e nero o per i colori?
ML: Il bianco e nero per me è essenziale: io penso in b/n, ma ci sono alcuni scatti che devono essere per forza a colori. Se scarti il colore perdi buona parte dello spirito della foto stessa.
In generale, ritengo che il b/n sia più concettuale e diretto, e che sia più difficile ottenere una buona foto in b/n che una a colori perché è necessario avere più consapevolezza.

FP: Che relazione hai con Photoshop e il fotoritocco? Ti occupi personalmente di correggere le tue foto?
ML: Sì, fa parte del mio processo creativo, selezionare e ritoccare le foto è una parte cruciale del mio lavoro; quello che non manca mai nel mio processo di editing è l’aumento del contrasto (anche in maniera puntuale con gli strumenti “schiarisci” e “brucia”) per ottenere immagini più drammatiche.
FP: “Dreamscapes” è l’unica serie in cui hai composto l’intera scena; ti piace ritoccare le tue foto per creare qualcosa di completamente nuovo o, forse, preferisci concentrarti di più sulla composizione che ti viene offerta dal paesaggio stesso?
ML: “Dreamscapes” è un progetto davvero poco complesso, tutti gli effetti sono stati creati solamente muovendo la macchina fotografica. Non c’è nessun tipo di ritocco nelle foto delle mie serie più semplici.
FP: Solitamente fotografi dei soggetti isolati, come alberi e barche nell’acqua, ma l’ultimo progetto che vediamo è “Airplane”, che è davvero molto popolato! Qual è il motivo di una scelta così differente? Ti affascinano così tanto gli aeroplani?
ML: Ho avuto l’opportunità di visitare San Marteen Island dove c’è un bellissimo aeroporto proprio vicino alla spiaggia, sembra quasi di poterli toccare. A volte, osservandoli, si ha l’impressione che “precipitino”, e guardarli mentre “cadono” fra la gente crea un’atmosfera drammatica, forte. Questa è sicuramente una delle mie serie più strane divertenti!
FP: Ci sono fotografi dai quali trai ispirazione?
ML: Moltissimi! Ammiro il lavoro di Sebastião Salgado, Eugène Atget, Edward Weston, Alfred Stieglitz, Man Ray, Michael Kenna… solo per nominarne alcuni.
FP: Che cosa ti piace fotografare quando non fotografi paesaggi o architetture?
ML: Mi piace fotografare i fiori; ho un portfolio di fiori congelati che è in costante crescita… C’è qualcosa di surreale in questo progetto che mi ricorda le mie fotografie a lunga esposizione.

FP: C’è un particolare progetto fotografico di cui vai particolarmente fiero e hai magari una foto che vuoi condividere con noi?
ML: Mi sta a cuore il mio portfolio sulla cascate in Islanda, in modo particolare la fotografia “Hole”. Penso sia molto interessante e accattivante l’idea dell’acqua riflessa sull’acqua, e anche l’idea della cascata che trapassa il terreno.

FP: Facciamo uno dei nostri “giochi” preferiti: stai partendo per un lungo viaggio e ti è permesso portare soltanto un obiettivo con te: quale sceglieresti?
ML: L’obiettivo migliore che io abbia mai usato è il Mamiya 43mm (equivalente al 35mm); l’ho usato con la Mamiya 7 a pellicola, ed è un obiettivo di grande nitidezza e privo di distorsioni.
È da molto che non lo uso però perché posso utilizzarlo soltanto per scattare a pellicola, ora preferisco piuttosto lo Zeiss 40mm (equivalente al 21mm) per la mia Hasselblad sia per scattare in digitale che in analogico.
FP: Moises, grazie mille per il tuo tempo!
Per chi volesse vedere altri lavori di Levy: www.moiseslevy.com