
In viaggio con un paesaggista: Alberto Maccagno
“In viaggio con un paesaggista” è uno spazio dove intervisto un fotografo paesaggista italiano. Ma non paesaggisti a caso, gente importante eh 😉
Alberto Maccagno è l’intervistato di oggi.

Alberto è uno scrittore.
No scherzo, è un fotografo paesaggista, e pure bravo. Però lui, con le sue foto, racconta storie proprio come uno scrittore.
Racconta storie di vita, storie di realtà lontane dall’Italia, e spesso sconosciute o dimenticate. Attraverso i suoi viaggi mette in luce quelli che sono i problemi sociali o ecologici dei luoghi che visita.
Che dire, sarà sicuramente un’intervista interessante.
Allora, intanto ciao e grazie di aver accettato di fare questa breve intervista 😊
Partiamo dalla cosa più importante, la meta: come la scegli?
Ciao ragazzi, mi fa piacere condividere questo breve spazio con voi.
Le mete che ultimamente scelgo per i miei servizi sono sempre legate da un denominatore comune che è quello di rappresentare/raccontare i problemi di un determinato Paese attraverso le sue bellezze.
Siamo testimoni di un passaggio epocale, dove l’avvento tecnologico di massa ha permesso di trasformare tutti in reporter. Ho notato, però, che troppo spesso si fa uso dei nostri strumenti senza più seguire una logica di ripresa.
Uno dei primi insegnamenti che mi sono stati suggeriti è che una storia si racconta con un rullino, ed è quella che è poi diventata la mia filosofia di lavoro: pochi scatti devono saperci insegnare prima di tutto a osservare attentamente e il ritratto che ne segue deve poter raccontare la storia.
Scegliere quindi una meta diventa relativamente semplice poiché le bellezze che ci circondano sono infinite, e oggi i problemi ambientali e/o sociali sono “purtroppo” altrettanti.

Io, da aspirante paesaggista, mi trovo sempre a dover coniugare due approcci per me differenti, ma complementari, alla fotografia di paesaggio: la pianificazione e il semplice vagare in cerca di ispirazione. Una volta scelta la meta, tu come procedi all’organizzazione del viaggio? Pianifichi nei minimi dettagli (con tanto di software per la posizione del sole e ore di golden e blue hour) ogni scatto, o “vagabondi” in cerca di idee?
Quando definisco le linee guida di un progetto pianifico la parte logistica del viaggio soltanto a metà: cerco di fare pochi spostamenti, per lasciare un ampio margine di libertà di movimento, questo perché, lavorando in luce naturale, devo avere il tempo necessario per sfruttare quello che le condizioni meteo mi concedono.
Questo serve anche per entrare meglio in sintonia con il luogo e le persone che lo abitano, e soprattutto mi dà modo di lavorare su dettagli importanti che poi vengono sempre a galla.
Lo zaino di un paesaggista tende a riempirsi facilmente tra ottiche, corpi macchina e accessori vari. Tu come gestisci la tua attrezzatura? Meglio viaggiare leggeri, o meglio avere sempre tutto con sé onde evitare imprevisti?
Lavoro sempre con un gruppo molto ristretto: il mio assistente (mia moglie), una guida locale e un driver mi permettono di depistare i classici percorsi, in modo da scoprire realtà interessanti che molte volte aprono nuovi scenari. Inutile dire che la giornata tipo inizia prima dell’alba e termina in tarda serata con una verifica del lavoro svolto in giornata.

In base all’attrezzatura, quindi, bisogna scegliere il modo più adatto per portarsela con sé. Tu usi uno zaino, una tracolla, o qualche prodotto che ancora noi non conosciamo?
Tendenzialmente cerco di viaggiare molto leggero per quanto riguarda il bagaglio indumenti, mentre lascio largo spazio all’attrezzatura. Decidere cosa portare è sempre difficile e per quanto possa immaginare situazioni di scatto manca sempre qualche obiettivo a corredo.
Personalmente lavoro con un paio di corpi macchina full frame corredati di zoom, mentre per quanto riguarda gli scatti con ottica fissa li ritraggo con un medio formato, macchina che ho battezzato con il nickname “La Signora”. Lei mi accompagna sempre con un 55mm (la mia ottica preferita) e un paio di altre focali che scelgo in base al tipo di viaggio.
Assolutamente d’obbligo avere un buon cavalletto e altresì un’ottima testa.
Il tutto è organizzato in un paio di zaini che permettono maggiore agilità e libertà di movimento durante le riprese.
Boicotto da sempre le tracolle per un semplice motivo: quando lavoro la macchina è un’estensione della mia mano e quindi diventa fondamentale per me essere sempre pronto a scattare senza avere impicci 😉
Ultima domanda, molto libera: lascia un consiglio ai lettori, su come affrontare al meglio la fotografia di paesaggio.
Risulto forse un po’ atipico, perché chi mi vede lavorare nota la mia disinvoltura nell’appoggiare ovunque la mia attrezzatura senza timore alcuno: il piccolo segreto da svelare è che in realtà considero le macchine strumenti da lavoro e quindi non mi interessa fare sfoggio delle loro carenature ma mi preoccupo bensì di proteggerle.
Ecco perché avvolgo completamente tutti i miei strumenti con del nastro adesivo nero: questo mi permette di non affannarmi su dove e/o come appoggio la macchina.
Sole, pioggia, sabbia, vento, fango. Lavorate senza badare a eventuali graffi o danni, e concentratevi esclusivamente sull’emozione da trasmettere: vi garantisco che al rientro a casa quel brutto scatolotto avvolto di nastro tornerà a splendere come nuovo appena lo liberate!
