
I racconti di Gianluca Colla
Dopo mesi a rincorrerlo, finalmente Gianluca riesce a rispondere (via mail, da un punto indefinito nel globo) alle mie domande. E io non potevo essere più contento di così.
E lo capirai anche tu, leggendo, perché sono così contento.
Un po’ perché Gianluca scatta i generi di fotografia che più mi piacciono, e un po’ perché fa veramente foto stupende, che meritano un approfondimento. Per me è stato come intervistare il mio artista musicale preferito: dopo che hai scoperto qualcosa di più su di lui, le canzoni le capisci meglio, di più.
Con la fotografia è la stessa cosa: dopo che inizi a conoscere il fotografo, inizi a capire le sue foto, non solamente a guardarle.
Signore e signori,
Gianluca Colla.
Ciao Gianluca 😊
So che la tua carriera ti ha portato, e ti sta portando, a viaggiare per tutto il mondo.
Sei stato in Islanda, in India, sul Rio delle Amazzoni, nel Circolo Polare Artico e Antartico… e potrei andare avanti ancora. Quindi sorge spontanea la domanda: da dove mi stai scrivendo adesso? Sei in Italia oppure all’estero?
In effetti giro parecchio… ad esempio mentre in Italia si affronta l’inverno, ti scrivo dal caldo ancora pressante del deserto degli Emirati Arabi. Ad essere onesti le nebbie padane con le quali sono cresciuto, che molti rifuggono, a me mancano molto in questo momento!

Parlando sempre di viaggi, cosa ti ha tenuto impegnato ultimamente?
L’anno appena concluso è stato ancor più intenso del solito per quello che riguarda i viaggi, sono passato dalla Patagonia, all’Australia, all’Indonesia, al Giappone, a diversi viaggi in Marocco… senza contare i lavori nell’”eurozona” e quelli “dietro casa”, che seppur possano sembrare i meno interessanti, quando viaggi tanto di colpo diventano i più esotici.
Sei un membro di National Geographic Creative, i tuoi lavori sono stati pubblicati sul Washington Post e il New York Times, tra i tuoi clienti si contano Apple, Canon e Fujifilm (di cui sei brand ambassador). Sei Esperto di Fotografia per National Geographic Expeditions e insegni allo European Institute of Design.
Sono risultati veramente incredibili: ma com’è iniziato tutto? Ti ricordi le tue prime esperienze con la macchina fotografica?
In realtà sono arrivato alla fotografia quasi per caso e abbastanza tardi, fino a 18 anni non solo non ho mai scattato una fotografia, ma trovavo anche che i fotografi fossero una razza abbastanza bizzarra: ore e ore a tirarsi appresso una pesante borsa ed aspettare che una nuvoletta si materializzasse da qualche parte… Poi, dopo una lunga avventura in moto in giro per l’Europa con mio padre, di cui non ho praticamente documentazione ma solo bei ricordi ed emozioni, mi sono trovato in mano una vecchia reflex a pellicola e da lì ho cominciato (quasi come fosse la legge del contrappasso) a documentare tutto quello che riuscivo. Adoravo la pellicola diapositiva e la sua unicità, ovvero il fatto che una volta premuto il pulsante di scatto, il gioco era finito. La passione sconfinata per la foto è arrivata immediatamente, ma in realtà la decisione di farne la mia vita è arrivata più tardi. All’epoca pensavo ancora che il mio futuro sarebbe stato disegnare case…
Mentre hai ripercorso un po’ la tua storia, ti è venuto in mente un progetto per te particolarmente significativo? Hai anche uno scatto a cui tieni molto?
Sono tante (troppe, direi) le foto a cui tengo, non tanto per la loro eventuale bellezza, che è un fattore puramente soggettivo, quanto per l’attaccamento emotivo alle persone ritratte. Spesso, nel mio lavoro, debbo in poco tempo entrare nella vita di persone estranee, con cui mi trovo a condividere ogni secondo della loro esistenza, 24h su 24h, e questa intensità crea dei legami molto forti. Per me le foto di queste persone sono tutte dei tesori a cui non posso rinunciare. Ma se proprio devo scegliere un progetto sugli altri, sicuramente quello sulla longevità: ho potuto documentare tutti i più incredibili ultracentenari al mondo, e ho imparato cosi tanto da loro, dalla loro saggezza, dalla loro esperienza. È un’esperienza che mi ha letteralmente cambiato la vita, per cui ha un posto speciale nel mio cuore.

Guardando i tuoi lavori, si vede come ti piaccia spaziare diverse società e zone del mondo. Parli di persone, parli di luoghi, parli di culture, mondi e storie. Qual è il filo conduttore che lega tutti i tuoi scatti?
Ad essere sincero non cerco un filo conduttore tra storia e storia, direi piuttosto tra foto e foto all’interno di una storia. Memore del viaggio che feci con mio padre, in cui sentii subito la carenza di ricordi in immagini, per me fotografare è diventato documentare qualcosa che altri non hanno la fortuna di vedere o sperimentare di persona, per cui il mio scopo principale è veramente quello di raccontare, fare in modo che chi guarda possa in qualche modo rivivere le emozioni (positive o negative che siano) che io ho vissuto. Dovendo trovare un vero filo conduttore tra le mie foto, questo forse può essere a livello estetico, nel senso che le mie immagini, a prescindere da tema e soggetto, tendono a essere sempre molto colorate, dense e sature.
Nel tuo portfolio vedo raccolte come “South Georgia”, “Call of the Mountain” e “Antarctic Circle”, ma anche altre come “Jugensteel” e “Longevity’s secrets”. Passando quindi dalla natura incontaminata, alla città e alle industrie, come scegli la location dei tuoi scatti?
É la natura del lavoro a dettare la location, io mi adatto… sono estremamente curioso (fin troppo, direbbero alcuni) e la fotografia, oltre che un mezzo per documentare, è per me anche un mezzo per scoprire, per cui trovo interessante sia a livello sociale che a livello visuale una giungla di alberi o una giungla di cemento o una giungla di ghiaccio (anche se tendo a preferire l’ultima).
Amo profondamente la natura e i grandi spazi, ed allo stesso tempo amo profondamente l’essere umano e la sua interazione con l’ambiente e lo spazio che lo circonda, per cui trovo appassionante in egual misura fotografare sia la prima che il secondo.
Avere la possibilità di viaggiare così tanto, incontrare culture diverse e vedere luoghi che di solito vedi solamente in foto (anche grazie a te ovviamente) è per molti fotografi un sogno. Se questa possibilità è anche la stessa che ti dà la motivazione per alzarti con il sorriso ogni mattina… Beh, credo ci si possa dire veramente soddisfatti. In tutto questo, qual è la cosa che ti piace di più del tuo lavoro?
La bellezza del mio lavoro è la possibilità di imparare, in tutte le sue fasi. Prima di un viaggio, studio e apprendo in base alla destinazione, per arrivare (almeno in parte) preparato. Durante il viaggio stesso, la miriade di esperienze sul campo sono una fonte di apprendimento continuo ed una lezione di vita. Dopo il viaggio, condividere le esperienze vissute con altre persone è uno spunto per riflettere ed approfondire ulteriormente quanto vissuto… insomma, suona come una frase fatta, ma è vero che non si finisce mai di imparare!

Nella tua carriera, oltre ad un fotografo, sei un videomaker e scrivi sul tuo blog.
Quando hai iniziato a dedicati anche ai video? E soprattutto, c’è qualcosa che non sai fare?
Se comincio con la lista delle cose che non so fare domani siamo ancora qua…
Ho iniziato il video 6 o 7 anni fa, quasi per caso. Un cliente mi ha chiesto di lavorare su un progetto di rebranding per il quale voleva il medesimo “occhio” sia per le foto che per il video, e mi sono trovato catapultato in un nuovo universo che mi ha subito affascinato, sia per la forte componente tecnica (alla fin fine sono un nerd mancato) sia per le immense possibilità espressive che si ottengono combinando immagine, movimento e suono. Il video da un lato perde l’immediatezza della fotografia, ma guadagna molto in possibilità espressive nel momento in cui si entra nella fase dell’editing.
La produzione video rappresenta una parte molto grande del lavoro adesso, ed è molto più complessa di quello che potrebbe sembrare: da solo non riuscirei a lavorare su tutti i fronti, infatti dal concept, all’organizzazione alle riprese al montaggio, viene tutto fatto insieme a mia moglie (siamo una delle rare coppie a cui piace lavorare insieme ): è il caso di dire che si respira arie di immagini 24 ore su 24 in casa nostra (uno dei nostri due pargoli poco tempo fa ha già messo in chiaro che da grande vorrebbe aiutarci a fare i video, cosi potranno essere ancora più belli a suo dire…).
Tra foto e video, sicuramente dovrai ben organizzare tutta la tua attrezzatura. Cos’è, però, che non può mai mancare nella tua borsa, per la quale ci sarà sempre spazio?
Si, sicuramente l’attrezzatura deve essere ben organizzata e ben stoccata, e facendo video il quantitativo di materiale cresce esponenzialmente… non ti dico il numero di valigie di materiale che possiedo perché ne ho un po’ vergogna, tant’è che lo tengo segreto anche ai miei familiari.
Comunque, l’equivalente in pieno formato di una focale 35mm non manca mai. È l’ottica con cui mi sento più a casa, quella con cui scatto oltre l’80% delle mie foto e buona parte dei miei video. E’ quella in cui mi rifugio quando a volte il soggetto è talmente bello o talmente difficile che cerco di ridurmi all’essenziale per concentrarmi solo sulla parte creativa e non su quella tecnica. È un po’ per me come la coperta di Linus!

Come ben sappiamo tutti, il lavoro di un fotografo non si conclude una volta finiti gli scatti, ma si conclude una volta finita la fase di postproduzione. Tu come gestisci questo procedimento? Quanto è fondamentale per te, la postproduzione, nel lavoro di un fotografo?
Ho un workflow molto semplificato, nel senso che io mi limito a convertire un file e non a postprodurlo e ritoccarlo (questa parte se fosse necessaria la lascerei sicuramente fare a Simone). Per il mio tipo di fotografia, una lavorazione del raw alla massima qualità con la corretta densità colore è tutto quello che cerco. Quindi passo molto tempo ad avere un ambiente di lavoro adeguato, con monitor widegamut, calibrati, etc, ma poi una volta convertito il file non lo tocco più. A volte vorrei essere un utilizzatore avanzato come voi di FotografiaProfessionale, ma in realtà il grosso degli interventi che faccio sulle immagini sono atti a ottenere uniformità cromatica tra fotocamera, monitor e stampante.
Bene, siamo in dirittura d’arrivo. Abbiamo parlato di chi è Gianluca Colla, e di come è diventato Gianluca Colla. Cosa ti riserva il futuro? Hai qualche progetto importante che puoi condividere con me e i lettori?
Il futuro immediato è tante ore a casa a mettere mano a tutti i progetti dell’ultimo anno, che sono stati scattati, ma non ancora completamente “terminati” in quanto a scelta e lavorazione delle immagini (per la parte fotografica) o di editing e montaggio (per la parte video).
Poi, il 2019 per il momento prevede tanta, tanta Islanda… non lo vedete ma c’è un sorrisetto (più un ghigno direi) soddisfatto, è uno dei miei posti preferiti al mondo dove andare a fotografare!
Ti faccio l’ultima domanda, che in realtà non è una domanda: ti lascio questo spazio per parlare direttamente ai lettori. Sentiti libero di parlare di ciò che vuoi, di consigliarli su qualcosa del mondo della fotografia, dei viaggi… O parlargli di quello che mangerai a cena stasera. Io ho concluso, a te la parola, e grazie per questa intervista.
Questa sera mangerò una qualche pietanza impronunciabile dai contenuti oscuri, con tante spezie, quindi preferisco evitare il pensiero.
Però un consiglio mi permetto di darlo: di tutte le cose che ho avuto la fortuna di imparare lungo il mio cammino, forse la più vera e la più utile me l’ha insegnata un centenario di Okinawa, in Giappone. Quando gli ho chiesto quale fosse il segreto della sua longevità, mi ha mostrato il suo tornito bicipite e guardandomi serio negli occhi ha urlato: “vitamina S” e poi è scoppiato in una grande risata. Ci ho pensato un po’ e poi ho capito che si riferiva al Sorriso, quello vero, quello sincero, quello appunto con la S maiuscola. Siamo tanto presi nella nostra quotidianità che spesso dimentichiamo di prendere le cose un po’ meno seriamente, di lasciare andare lo stress e sorridere di certe situazioni o problemi che tutto in un colpo apparirebbero meno gravi se presi per il verso giusto.
Sorridere, ridere, di sé stessi, della vita, contagiare chi ci circonda con un po’ di buon umore. Questo è quello che più di tutto ci farà vivere, se non più a lungo, almeno meglio. E se il sorriso lo possiamo trasportare anche nel nostro lavoro e nelle nostre immagini, allora il cerchio si chiude veramente!
Grazie a te per le chiacchiere e buona luce a tutti!

Lorenzo