
La postproduzione una volta non esisteva!
Recentemente sono stato a una piccola mostra fotografica ospitata in una galleria d’arte a San Francisco. La mostra era dedicata ad alcune foto, oggi assolutamente iconiche, scattate nel 1949 dal fotografo Tom Kelley a una giovane attrice assolutamente sconosciuta all’epoca. Il compenso per la modella fu di $50. Le immagini di cui sto parlando furono usate per un calendario, stampato da John Baumgarth & Son, una tipografia di Chicago, in oltre 9 milioni di copie. Le immagini erano foto di nudo, però, e all’epoca erano troppo “forti” per essere presentate al pubblico nella loro forma originaria. Vennero pertanto postprodotte. In un’era senza Photoshop, la modella venne rivestita in fase di stampa!
La storia non finisce qui… Le immagini vennero poi vendute a Hugh Hefner nel 1953 e una di queste fece la sua apparizione sul paginone centrale di PlayBoy. Hai capito chi era la modella? No?
La modella era una ragazza allora ventiduenne che tutti oggi conosciamo con il nome di Marilyn Monroe. Gli scatti ormai di una vera icona di quel tempo sono noti come “Red Velvet Collection” a causa del drappo di velluto rosso usato come sfondo.

Ma in realtà, oggi non voglio parlarti di questo. Oggi voglio parlarti dei 21 “livelli di regolazione” utilizzati per la stampa del calendario.
Nel periodo in cui gli scatti vennero realizzati, le foto di nudo non erano proprio “mainstream”, soprattutto negli Stati Uniti. Per questa ragione Marilyn venne vestita in postproduzione.

Forse starai pensando… «la postproduzione una volta non esisteva! La postproduzione è quella che rovina le fotografie e le fa diventare immagini. Le vere fotografie sono quelle che escono, così come sono, direttamente dalla macchina fotografica».
Se questo è il tuo pensiero non ho intenzione di allontanarti da questa (per certi versi rassicurante, ma) falsa percezione della realtà. Vorrei solo condividere con te la mia visione delle cose, sfruttando un pezzo di storia come esempio (ce ne sono un’ulteriore sterminata collezione, volendo).
La postproduzione è sempre esistita. In passato era solo molto più complicata e richiedeva una manualità ed un tempo maggiori di quelli richiesti oggi. Recentemente una “balena” della nostra Accademia di Postproduzione ha postato su Facebook questa citazione di Giovanni Gastel: «Oggi tutto il mondo ha una macchina fotografica in tasca e questo mi rende felice. Quando hanno insegnato a scrivere a tutti, gli scriba hanno pensato che sarebbe stata la fine, e invece è proprio lì che è nata la scrittura.»
Impossibile non essere d’accordo. Il mondo va avanti. Resistance is futile.
Ora si può fare meglio, come meno sforzo. Perché rimpiangere i “tempi andati”? Ma, soprattutto, com’erano i “tempi andati”?
Come ti scrivevo prima la postproduzione degli scatti di Marilyn ha richiesto l’uso di ben 21 livelli. Di quali livelli sto parlando? Mi riferisco a dei retini di stampa.
Non se se hai familiarità con con la stampa litografica. Se così non fosse lascia che ti dia una rapidissima e generica idea di come funziona. Per stampare un’immagine è necessario comporla attraverso la sovrapposizione di colori primari (se vuoi maggiori dettagli sulla “Teoria del Colore” e sulla sintesi sottrattiva del colore dai uno sguardo a questo eBook). Generalmente i colori usati nella stampa litografica sono 4: Ciano, Magenta, Giallo e Nero. Anche le stampanti fanno uso della sintesi sottrattiva del colore, ma spesso usano altri due colori: Ciano Chiaro e Magenta Chiaro.

Nella stampa litografica, maggiore è il numero di colori utilizzati e, di conseguenza, maggiore è il numero di retini utilizzati, migliore sarà la qualità (dal punto di vista cromatico) della stampa. Più alto è il numero di colori, più ampio è il Gamut.
Nel calendario con le immagini della Red Velvet Collection, nel 1953, più di 60 anni fa, utilizzarono ben 21 livelli colore. La maggior parte di questi furono dedicati alla creazione di una resa cromatica perfetta, ma alcuni di essi servirono per modificare sostanzialmente l’immagine e rivestire Marilyn con una lingeire più adeguata per i primi anni ’50.

Si tratta di vera e propria arte, un’opera artigianale che ha permesso una resa cromatica che sulla pellicola originale degli scatti non era presente. Le immagini iconiche che oggi noi percepiamo come fotografie sono in realtà il frutto di una operazione lunghissima e infinitamente complessa di postproduzione.
Il rosso delle labbra è stato creato con un apposito livello. Per il colore dell’incarnato di Marilyn è stato usato ben più di un livello in relazione alla parte del corpo, per conferire una uniformità colore che, in realtà, non esiste.
Tutte queste informazioni si desumo dalle lastre originali ritrovate miracolosamente dopo che per anni si credevano irrimediabilmente perse. Su ogni singola lastra sono evidenziate (guarda il nastro rosso in una delle foto pubblicate) le aree da usare per l’inchiostrazione del foglio. Praticamente si tratta di una versione ante litteram di un file a livelli di Photoshop con evidenziate le maschere e i metodi di fusione.
Il prodotto originale frutto del “click” in pellicola è stato elaborato e migliorato notevolmente in fase di stampa per ottenere una vividezza cromatica e una precisione colore irraggiungibile con una semplice stampa C-41.
Ancora una volta mi è chiaro quanto la postproduzione sia un’arte volta a valorizzare lo scatto. Un processo necessario per rendere fruibile al meglio l’opera di ogni fotografo. È qualcosa che si è sempre fatto e si continua a fare. Ora è semplicemente tutto più accessibile e semplice.
Una volta c’erano cattivi laboratori di sviluppo e ottimi laboratori di sviluppo, cattivi stampatori ed eccellenti stampatori. Ora si possono incontrare pessimi ritoccatori che non sanno valorizzare le immagini ed eccezionali ritoccatori che rispettano l’intento creativo del fotografo (spesso sono la stessa persona!) e permettono alle immagini, già ottime in fase di scatto, di diventare qualcosa di ancora migliore.
Nel mondo del colore questo è ancora più importante e spesso la correzione colore, la stessa che oltre 60 anni fa fu il fulcro e fiore all’occhiello della stampa del calendario della Red Velvet Collection, rimane oggi sottovalutata. Sapere gestire e dominare il colore delle proprie immagini è altrettanto importante del sapere come comporre uno scatto e sviluppare al meglio il RAW che ne deriva (c’è ancora qualcuno che scatta unicamente in Jpeg??? No, vero???).
Tu cosa ne pensi? Qual è il tuo rapporto con la postproduzione? E quello con il colore?
Ciao e buone foto!
Simone Conti