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Profondità colore, lavorare a 8 o a 16 bit?

Tecnica Post-Produzione 19/04/2010 Simone Poletti

Alcuni di voi mi hanno chiesto: “Meglio correggere le immagini a 16bit o a 8bit? E qual’è la differenza?”
Il numero di bit nell’immagine determina la “profondità colore” della stessa, cioè il numero di possibili tonalità di grigio in un pixel. La variazi0ne è esponenziale, quindi un pixel 16bit non contiene il doppio di possibili tonalità rispetto ad un pixel 8bit, ma molte di più. Un pixel a 8bit può contenere infatti 256 diverse tonalità di grigio, un pixel a 16bit ne può contenere 65536! Quindi nel pixel a 16 bit avremo la possibilità di 65536 variazioni di sumatura di grigio fra il bianco e il nero.
È evidente quindi che in una immagine a 16bit avremo molte più informazioni colore, molte più possibili gradazioni e una sensibilità alla corezione cromatica molto maggiore. Una immagine a 16bit interpreta quindi meglio la realtà fotografata, o comunque ci permette maggiori possibilità espressive nella variazione dei colori. Questo ci permette quindi di lavorare in maniera più raffinata, con risulatati milgiori e un controllo molto maggiore sul risultato finale. Io insisto molto, anche nei corsi, sulla necessità di avere il massimo controllo su quello che facciamo, sull’importanza di poter decidere come impostare ogni variabile e ottenere esattamente il risultato che vogliamo, e l’immagine a 16 bit permette sicuramente più di quella a 8bit di avere questo tipo di controllo.
Sempre meglio quindi lavorare a 16bit? Teoricamente si, ma è necessario fare dei distinguo.
I laboratori di stampa fotografica e le macchine da stampa offset gestiscono infatti immagini a 8bit, quindi è necessaria in ogni caso una conversione prima della stampa. Quindi può avere senso correggere cromaticamente (sia in fase di sviluppo del raw che in fase di correzione a Photoshop) l’immagine, per poi convertirla al momento della stampa. Capita però molto (troppo) spesso che i laboratori e le litografie non rispettino i profili colore che assegniamo alle immagini, modificandone irrimediabilmente la resa cromatica. Questo vale per immagini a 16 o a 8bit… pretendete SEMPRE che chi stampa rispetti i vostri profili o (ancor meglio e più semplice) informatevi sui profili colore in uso dallo satmpatore e correggete le immagini in base a quel profilo.

Inoltre c’è chi consegna alla stampa dei file in f.to jpeg (perchè pesano meno…) con conseguente perdita di informazioni colore a casusa della drastica compressione del jpeg.

Che senso può avere perdere tempo e fare tanta fatica per correggere un’immagine per poi salvarla in jpeg e perdere gran parte delle informazioni colore e della “morbidezza tonale” che permette l’elaborazione a 16bit?

Salvate le immagini in tif, avrete un file più pesante, ma non perderete informazioni nella conversione e tutto il vostro lavoro sarà preservato e valorizzato!

La correzione cromatica è un processo completo e complesso, che va dalla acquisizione dell’immagine fino alla consegna del file profilato allo stampatore e al controllo delle prove di stampa. Questo processo deve essere gestito in maniera coerente. Non ha infatti alcun senso lavorare immagini a 16bit (con i rallentamenti che ne conseguono a causa del peso del file) se poi si consegnano i file per la stampa in jpeg o se chi stampa agisce in maniera impropria sui profili colore. Lavorate le immagini a 16bit, ma poi convertitele in Tif (non in jpeg) a 8 bit per la stampa, e consegnatele a un laboratorio o a una litografia che ne faccia un uso corretto e che lavori rispettando i profili colore.

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