
Racconto di una foto che non c’è
Non ho una vera e propria foto che racconti tutto. A dire il vero non ho proprio la foto… ancora…
Oggi è stato, per me, uno di quei giorni che non puoi dimenticare. È stato divertente, rischioso, emozionante… bello! Ma vediamo una cosa alla volta, andiamo con ordine.
Finalmente è arrivata la mia nuova-vecchia macchina fotografica direttamente dal Giappone. Ho deciso di tornare alle basi con una macchina di circa 15 anni fa, a pellicola però… niente digitale. Voglio riscoprire l’attesa dello sviluppo, l’ansia della mancanza della certezza del risultato, un po’ di limiti tecnici e scattare meno, con più cura del solito, per avere un risultato con un “sapore” particolare.
Qui a San Francisco la pellicola si trova in abbondanza e senza problemi. Ci sono almeno due negozi che ne hanno due frigoriferi pieni, e ci sono almeno 5 laboratori che sviluppano in C41 e due di questi anche in E6. Tutti offrono come servizio i provini, oltre che a contatto, anche in digitale (scansioni a “bassa” risoluzione). Poi, naturalmente, si possono richiedere le scansioni ad alta risoluzione. Da un negativo (o positivo) medio formato 645 è semplice ricavare un DNG a 16bit da circa 50 Megapixel.
La macchina fotografica l’ho fatta spedire a Yahoo! (grazie Jen!) perché qui a casa la cassetta delle lettere è minuscola e non volevo che il corriere la lasciasse davanti all’ingresso… in mezzo a una zona iper-turistica di San Francisco… davanti alla fermata del Cable Car!
Così mi sono fatto un giretto a Sunnyvale dopo pranzo per andarla a recuperare. Ho preso la 101 verso Sud: zero traffico e autostrada a 5 corsie.
Scopo della giornata: recuperare la Mamiya 645 e andare a provarla immediatamente al faro di Pigeon Point per la Golden Hour.
Annalisa, una delle ragazze del team dove lavora Jen, mi accoglie all’ingresso con una montagna di scatole (ho fatto arrivare là giusto un altro paio di cose!). Due chiacchiere al volo e inizio a spacchettare l’unica scatola con diciture in giapponese. Operazione non facile senza forbici o altri strumenti, e con un imballaggio che è praticamente un groviglio, a prova di bomba, di nastro adesivo. Dopo enormi, inenarrabili fatiche, ho finalmente in mano la macchina… e mi accorgo che il venditore giapponese ha omesso di inserire nella confezione le batterie. Mi servono 6 AA per il corpo (fino qui tutto facile) e una CR2032 per il film-back… e qui si complica!

Fortunatamente Jen mi indica come arrivare da Fry’s Electronics che, dice lei, dovrebbe avere ciò che mi serve. Guido fino là mentre si sta facendo un po’ tardi e passo davanti a qualche azienda più o meno nota come Marvell Semiconductors e AMD, e arrivo in questo grande parcheggio davanti a quello che sembra essere un immenso magazzino. Parcheggio, entro e… il paradiso! Componenti elettronici a scelta. Scaffali di elettronica di ogni tipo. Il valhalla del multimetro. L’eden della PCB. Ma non ho tempo! Trovo le batterie, vado a una delle circa 20 casse, pago e esco. Sul sedile della macchina installo le batterie e carico il rullo di #Fujicolor Pro 400H (che fa i neri aperti proprio come piacciono a Gloria).
Imposto la nuova destinazione sull’iPhone che mi fa da (indispensabile) navigatore su Pigeon Point. Nel frattempo mi arriva un WhatsApp di Sirio che mi invita a iscrivermi a un evento Google per programmatori sciroccati che si terrà in Italia l’11 febbraio: mi iscrivo dall’iPhone e parto!
Mentre guido passo davanti a un cantiere enorme. Stanno costruendo un palazzo rotondo tutto coperto di vetrate… Ci penso su due secondi e capisco che sono davanti alla “Space-ship” di Cupertino: il nuovo headquarter di Apple. Figo! Le vetrate curve sono veramente fighe!
Imbocco la 280 verso Nord e, facendo 2 rapidi calcoli, mi accordo che sono in ritardo. Google Maps dice 1h e 12 minuti. In genere sulle percorrenze delle freeways non sbaglia di un minuto… vedremo.
All’altezza dei campi da golf di Stanford devo uscire dalla 280 e imbocco una strada “provinciale” che si inerpica sulle colline che separano la Silicon Valley dalla costa. A questo punto inizia la vera magia, perché so che, se sarò fortunato e ci sarà poco traffico, una strada come questa è una delle poche occasioni dove in USA si può guidare per davvero! Metto il cambio automatico con doppia frizione della Golf GTI in modalità Sport, sposto la leva su “Manuale” e mani pronte sulle “palette” dietro al volante.
Sfortunatamente ho una macchina davanti. È una Tesla Model S 85D e, malgrado il conducente guidi con calma quando la strada inizia ad essere tortuosa ed con una pendenza sensibile, io scalo una marcia e do gas, lui semplicemente va via con la sua coppia da 657Nm e i suoi 417 cavalli… e meno male che non era la P85D!

Mentre si sale la nebbia scende e si insinua tra le fronde degli alberi ad alto fusto. Non pioveva praticamente da 5 anni, ma adesso è praticamente una settimana che piove e tutto sta tornando verde e rigoglioso. Nonostante sia inverno, la natura sboccia. L’asfalto è nero come la pece perché bagnato e la doppia linea continua gialla si staglia con un contrasto che nemmeno il “Double-Focus” e una saturazione che neanche il “Modern Man From Mars”. La Tesla è sempre là davanti e ogni tanto esce dal finestrino posteriore destro la testa di un Border Collie che mi ricorda Paola e Aika. L’unica differenza è che questo Border Collie non soffre il mal di macchina, anzi, sembra godersela un mondo!
Finalmente la Tesla mette la freccia a destra. Inizio a guidare. I limiti nelle curve sono di 25, massimo 30 Mph… Io faccio finta che siano i limiti di velocità dell’Autostrada della Cisa: un velato quanto assurdo consiglio. Se trovo un’auto davanti mi comporto da bravo Americano: non suono, non lampeggio e mantengo la distanza di sicurezza. Tutte le volte però, dopo che per un po’, curve e rettilinei, sono sempre lì incollato… mettono tutti la freccia a destra, si spostano e mi lasciano passare. Io aumento il ritmo… senza esagerare! La definizione di guida sportiva in Italia e USA è differente!
A un certo punto, mentre mi godo la guida e il paesaggio montano da favola, la Golf fa bong (che se era un Macintosh era meglio!)… Sono in riserva! Non ho fatto caso a quanta benzina avevo! Autonomia 35 miglia, distanza all’arrivo 25 miglia.
La buona notizia è che nel frattempo ho recuperato circa 15 minuti sull’orario previsto di arrivo (che su 75 minuti di percorso totale non è malaccio!).
La brutta notizia è che non ho la più pallida idea di dove possa essere il prossimo distributore.
Fra me e me penso che sicuramente ne troverò uno… Del resto 25 miglia sono poi 40Km: ci sarà bene un distributore nei prossimi 40Km! Altrimenti tutti quelli che abitano lì attorno dove fanno benzina?! (Questa cosa dei distributori di benzina in USA ancora non mi è entrata bene in testa…)
Il panorama cambia. Il bosco con nubi basse e nebbia lascia il posto a colline più dolci messe a pascolo. Qualche mucca si gode la pioggerella alla mia destra. Il navigatore dice che sono ormai molto vicino all’Oceano.
La strada termina in un incrocio a “T”. Davanti le onde del Pacifico non sono per nulla pacifiche: arrivano alte, spumeggianti, con grandi riccioli bianchi al punto dove frangono sulla spiaggia e sembrano esplodere. Mio papà direbbe che “c’è mare”. L’aria è carica di pulviscolo salmastro e all’orizzonte, a ovest, ci sono delle nubi fantastiche in mezzo alla quali irrompe il sole.
Ho quasi perso del tutto la Golden Hour, sono praticamente a secco di benzina e non ho la più pallida idea di dove sia la prossima stazione di servizio, ma il panorama è mozzafiato. Al massimo chiamerò qualcuno con il cellulare per chiedere aiuto, no??? Ehm… no! Nemmeno quello, qui T-Mobile sembra non avere segnale.
Sono arrivato sulla Highway 1. Questa strada è a dir poco meravigliosa, sali e scendi con curvoni lunghi e costanti. Poco traffico, tante discese. È il momento giusto per sfruttare al meglio la settima marcia della GTI… la “N”.
Sono le 5:30. Mi sono giocato completamente la Golden Hour, ma sono finalmente arrivato al mio faro preferito. Entro nel parcheggio e trovo una coppia, marito e moglie sulla settantina, che si avvicina all’auto. Chiedo loro se sanno indicarmi il distributore più vicino, giusto per capire “di che morte devo morire”… non lo sanno, sono turisti… Shit! Però sono gentili e mi dicono di andare a sentire dal ragazzo che c’è alla reception dei cottage. Prendo borsa, macchina, cavalletto e tutto il necessario per la Golden Hour che se n’è andata e, indomito, vado a fare foto.
Sempre per avere rassicurazioni sul mio futuro incerto, entro e trovo il ragazzo alla reception nel primo cottage. È super gentile e mi dice che sono salvo: il distributore è più a sud di solo 1 miglio. Mi dice di affrettarmi perché chiude alle 6:00, a volte un po’ prima, e dopo la chiusura accetta solo carte di credito. Come tutti i self-service in USA, dopo la chiusura si può pagare con carta di credito, ma con l’unico vincolo che la carta di credito sia americana e faccia riferimento a un indirizzo in USA. Vabbe’, dai… ho ancora mezz’ora per fare 4 foto.
Dell’esposimetro della Mamiya non mi fido più di tanto, non la conosco, è “nuova”. Uso la Nikon come raffronto. C’è circa mezzo stop di differenza. Mi fido del Matrix di Nikon, non sbaglia essenzialmente mai! Imposto tutto, faccio l’inquadratura, 1/6s, f/16, fuoco manuale in iperfocale. Mamiya e autofocus sono due parole molto complesse da inserire nella stessa frase e comunque il paesaggio, per me, è solo fuoco manuale. Tutto pronto. Scatto… non scatta! Cosa potrà mai essere? Prima quando l’ho carica funzionava a meraviglia. Esteticamente sembra appena uscita dalla linea di assemblaggio in Giappone… Porca paletta… la dark-slide! (che non è il Dark Side).

Alla fine faccio 4 scatti. Sono sulla punta estrema del promontorio, su una passerella di legno bianco (forse, ormai è buio!), sospesa sullo strapiombo della scogliera. Sotto di me la schiuma dell’Oceano che diventa pulviscolo. Le onde che rombano, rimbombano e si infrangono. Sopra di me il cielo plumbeo e cinque pellicani che mi planano sopra la testa, quasi mi sfiorano e, tanto sono grandi e imponenti, mi sembrano pterodattili.
È buio, la Blue Hour non è stata proprio un’ora e ormai più che blu è buia pesta. Torno verso l’auto e decido di fermarmi nuovamente al cottage per chiedere informazioni più precise sull’ubicazione del distributore. Non posso e non devo sbagliare!
Il ragazzo di prima non c’è più. Ora c’è un uomo sulla cinquantina che parla al telefono. Entro. Faccio un cenno di saluto (non ricambiato) e aspetto. Parla con una donna (credo) e le sta dicendo che lui non può farci nulla: ha un cuore grande e non riesce a non preoccuparsi per lei. Le dice che deve riguardarsi. Seriamente, deve prendersi cura di lei. Lui ha smesso e può smettere quando vuole, le dice. Basta fumo e ganja. Lui è bravo a smettere!
Va avanti così per circa 5 minuti. A me sembrano 8 ore. Aspetto. Sereno. Paziente.
Alla fine (dei giorni?) appende e finisce la chiamata. Mi parla come parlava con lei, con voce posata, rilassata, quasi musicale. Mi dice che questa sera lui non lavora e mi andrà a chiamare chi si occupa della reception. Poi ci ripensa e mi chiede come può aiutarmi. Gli racconto la mia condizione di autonomia carburante limitata. Mi guarda, mi sorride e mi dice di non preoccuparmi. Il distributore è a solo 2 miglia più a sud (ma non era solo 1 miglio???), davanti al birrificio. Mi dice che è l’unica cosa che c’è, non posso sbagliare! Ringrazio e gli chiedo un biglietto da visita, questo posto è magico e vorrei tornare e passarci la notte. Mi dà il biglietto da visita (grosso come un iPhone 6) e si raccomanda di non guardare il sito internet. Le disponibilità non le aggiornano mai e sono sempre sbagliate, a caso. Mi dice di chiamare al telefono, è meglio! Saluto e ringrazio. Me ne vado pensando che effettivamente ha ragione! Del resto siamo a circa 1 ora di strada da San Francisco e dalla Silicon Valley… chi mai userà internet e i siti web qui!?
Salgo nuovamente in macchina. È ora di trovare il distributore. Azzero il contamiglia per essere sicuro. Parto e vado verso sud. Un miglio. Il nulla! Un miglio e mezzo. Buio, senza stelle, senza luna e senza un lampione. Un miglio virgola nove. Un lampione debole e interno rispetto alla strada. Impossibile che sia qui. Per non rischiare metto la freccia e mi fermo. Sotto il lampione c’è un’insegna scura con una scritta sbiadita. È un birrificio. Lì a fianco, un po’ nascoste da un terrapieno, 4 pompe di benzina. Salvo!

Il distributore è chiuso e non c’è nessuno a presidiarlo. Inserisco la carta di credito (fortunatamente ho quella americana) e tra quella verde e quella nera, scelgo la “pistola” nera (in USA la benzina è nera, il diesel è verde… giusto per mantenere uno standard mondiale, eh?!) e premo il tasto per erogare quella con il massimo numero di ottano.
Mentre si riempie il serbatoio tiro fuori il telefono dalla tasca sinistra della giacca TheNorthFace per chiamare Jen e avvertirla che sono un po’ in ritardo sulla tabella di marcia. Il biglietto da visita cade e vola via. Perso. C’è vento e non c’è segnale T-Mobile.
Sono salvo. Ho il pieno e circa 40 minuti di Highway 1 deserta, tutta curve e saliscendi, senza nemmeno un lampione da godere davanti a me prima che debba rallentare il ritmo.
Cambio su Sport. Leva su “Manuale”. Freccia a destra per uscire dall’area di servizio e torno a casa pensando che devo fare altre 12 foto per finire il rullino e già pregustando la cena ecologica, biologica, ecosostenibile e gustosa che ordinerò su Sprig e mi consegneranno a casa in meno di 20 minuti dall’ordine.
Ah, quasi dimenticavo! Buon Anno a tutti!
Simone Conti