Storia della fotografia 

Tutto per colpa di qualche pixel “di troppo”
Storia della fotografia 09/10/2018 Francesca Pone
Mi ricordo di aver avuto sei anni quando ho stretto fra le mani la mia prima macchina fotografica: era una vecchia Kodak, tutta nera e rigorosamente a rullino.
Ero in gita con la scuola materna in una fattoria, un classico per farti scoprire la natura: impugnata la mia nuova amica, iniziai a scattare foto alla location, agli animali e alle mie compagne 📸
Scattate quelle fotografie, non mi restava che portare il rullino in uno studio fotografico ed attendere che me lo sviluppassero per vederne il vero risultato.
Ora l’idea di far sviluppare le proprie fotografie e attendere per vederne il risultato ottenuto è un’utopia: l’introduzione di nuove tecnologie e i processi di digitalizzazione ci hanno permesso di vedere, nello stesso momento in cui fotografiamo, com’è lo scatto che ci siamo impegnati a realizzare e poi possiamo lavorare su questo con software come Adobe Photoshop (a proposito, hai visto che abbiamo lanciato il nostro nuovo video-corso? 😁 )
“Voi premete il bottone, al resto ci pensiamo noi”
Era questo il motto lanciato da George Eastman per presentare il colosso fotografico Kodak, che per molti anni diventò sinonimo della fotografia.
Kodak diffuse un’idea della fotografia semplice ed economica e regalò al mondo un’arte unica.
La nascita del rullino fotografico sostituì la precedente tecnica delle lastre di vetro, che richiedeva una lavorazione in tempi rapidi e con processi impegnativi: Eastman aveva lui stesso utilizzato questa tecnica nel periodo in cui si approcciò per la prima volta alla fotografia. A quei tempi, il giovane lavorava come impiegato e percepiva appena 15 dollari alla settimana: li utilizzò per comprarci il suo primo apparecchio fotografico e da lì ebbe l’illuminazione. Nacquero, così, le prime macchine fotografiche firmate Kodak 🙂
Nel 1929 uscirono i primi rullini a colori: fu la volta della pellicola Kodacolor, che rese possibile la stampa su carta, poi di quella Kodachrome sia per le attrezzature cinematografiche che fotografiche.
Kodak riusciva sempre a stupire i propri clienti, proponendo loro nuovi prodotti e modi di collezionare i propri ricordi. Ogni occasione era quella giusta per scattare qualche fotografia, che fosse il compleanno di un amico o una gita fuori porta: scattavi, ti divertivi e, qualche settimana dopo, le tue foto erano sviluppate e pronte da incorniciare o raccogliere negli album da tenere conservati in casa, con tanta gelosia.

Erano appena cominciati gli anni Settanta: pazzi informatici se ne stavano chiusi nei loro garage a smanettare su transistor e codici stampati, le donne protestavano per ottenere l’uguaglianza e sul mercato comparvero i primi videogiochi come PacMan. Nascevano le prime calcolatrici portatili, i Compact-Disc, i telefoni cellulari, il Walkman (creato per sbaglio, ma questa è un’altra storia…) In quegli stessi anni venivano sviluppati i primi microcomputer negli Stati Uniti per sostituire quelli giganteschi che in tempi addietro occupavano intere stanze e non erano alla portata di tutti, se non in centri di ricerca o università. E, di lì a poco, l’Apple avrebbe lanciato il primo personal computer.
L’intero mondo era protagonista di un rapido processo di evoluzione che stava sconvolgendo la vita di tutti. Sconvolgente, in particolare per i fotografi, fu l’invenzione firmata dall’ingegnere della Kodak Steven Sasson nel 1973.
Peccato che nessuno se ne sia accorto fino a molti anni dopo 😉
Steven Sasson se ne stava nascosto lì, nel settore invenzioni della Kodak. “Mi tengono qui per non farmi far danni”, così spiegava lui il suo ruolo nell’azienda.
Tra i suoi “danni” quello di essersi impegnato nella costruzione della prima macchina fotografica digitale: quest’invenzione fu il motivo scatenante della sparizione della pellicola tanto cara a casa Kodak 😉
La prima macchina fotografica digitale non era pratica da spostare, sia per le sue dimensioni che per il peso, e ci impiegava “appena” 23 secondi per produrre lo scatto con una risoluzione pari a 0,01 megapixel; i dati acquisiti dallo scatto venivano poi registrati su una cassetta che rendeva visibile la foto su uno schermo tv. Peccato che l’invenzione di Sasson registrasse in maniera alquanto flebile le diverse tonalità di bianco e nero, caratteristica che non convinse i proprietari della Kodak: la pellicola era ancora il “must” del momento e la qualità ottenuta dal rullino era senza confronto.
Ci vollero alcuni anni per migliorare, a poco a poco, la qualità delle prime fotografie scattate in digitale.
Il periodo analogico volgeva al termine: pochi ne erano consapevoli e, tra questi, i produttori statunitensi che non concepivano cambiamenti anche nel mondo della fotografia. L’avvento del digitale avrebbe favorito non solo la nascita di tecnologie sempre più moderne, ma anche la loro diffusione a macchia d’olio.
«Chi guarderà mai le foto su uno schermo?»
Fu questa la risposta data all’inventore di uno strumento che ha cambiato la vita di tutti. I manager di Kodak chiesero al giovane Sasson di continuare a dedicarsi al progetto, ma di tenerlo nascosto e di non parlarne al di fuori dell’azienda. Pochi anni dopo, nel 1978, Kodak ottenne il primo brevetto per una macchina digitale: ciò nonostante, il progetto fu tenuto all’oscuro per non danneggiare il proficuo mercato delle tanto amate pellicole.
Non la pensava così, invece, la Sony che fu la prima azienda a lanciare sul mercato la prima macchina fotografica digitale nell’agosto del 1981: la Sony Mavica FD5, che utilizzava un floppy come supporto di memorizzazione principale 💾

Kodak tentò di frenare il successo dell’azienda nipponica, pentendosi di aver lasciato in un cassetto l’invenzione di Sasson: nulla, però, bastò a rallentare l’avanzata Sony, neppure il lancio delle prime Kodak EasyShare.
Una scelta costata cara ai produttori Kodak, quella di rifiutare il lancio della prima macchina fotografica digitale: l’invenzione sarebbe stata un’opportunità da cogliere al volo per favorire un ulteriore successo dell’azienda; la decisione della Kodak, però, finì per danneggiare i guadagni e portare in tutt’altra direzione.
Nel 2009 cessò la produzione dei rullini Kodachrome: caratterizzata da un’ottima vivacità dei colori, la pellicola non resistette alla competizione con la fotografia digitale. L’ultimo rullino Kodachrome fu usato dal noto fotografo Steve McCurry, che per anni l’aveva usato per fotografare e dedicò l’ultimo Kodachrome ad un reportage che riassumesse la sua carriera.
Nel 2012, ormai, la Kodak sfiorava il fallimento: si arrestò la produzione di apparecchi fotografici per dedicarsi alla produzione di stampanti e materiali per la fotografia professionale ed il cinema.
La rivoluzione digitale ci ha permesso di limitare (in parte) i costi della fotografia dopo l’investimento iniziale per possedere l’apparecchio fotografico, ma soprattutto di vedere subito sul display lo scatto realizzato. Ora scattiamo fotografie senza sentire l’esigenza di stamparle (anche se a me piace avere tra le mani i miei scatti) e non le archiviamo più in enormi album che con il tempo ingialliscono.
Eppure un po’ mi manca quella sensazione di curiosità e frenesia provata nello scartare la confezione delle fotografie appena sviluppate per vederne il risultato (e magari scoprire qualche scatto bruciato o fotografie di cui non ne sapevi l’esistenza) 🎞
Sensazione che potremmo, in realtà, riprovare: nel 2017 la Kodak ha sorpreso tutti con un comunicato che annuncia la rimessa in produzione dei rullini Ektachrome 100, molto amati soprattutto in settori come la moda e la pubblicità.
Negli ultimi anni, infatti, appassionati e professionisti stanno riscoprendo il gusto della pellicola e la soddisfazione di dedicarsi a processi “antichi” per avere tra le mani l’opera fisica.

La scelta spetta solo a noi: che sia tra analogico o digitale, alla fine, ognuno deve sentirsi libero e fiero di scattare come più gli piace 😁
Francesca